responsabilità medica: la prova può essere data anche per presunzioni
Lo afferma una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. VI_III ord. 26 novembre 2020 n. 26907) che ribalta l’esito dei giudizi di merito in primo e secondo grado, in cui il danneggiato aveva visto respingere la domanda di risarcimento.
La vicenda giudiziaria nasce a seguito di un intervento di riduzione di una frattura della tibia e della fibula, all’esito della quale i sanitari – intervenuti successivamente per la rimozione dei mezzi di sintesi – dimenticavano di rimuovere un moncone di vite, come successivamente verificato, a seguito dei forti dolori lamentati dal paziente, presso altra struttura sanitaria.
In primo e secondo grado non erano state ammesse nè le prove testimoniali dedotte dall’attore (che non aveva tuttavia indicato i nomi dei testi) né la richiesta consulenza tecnica, sull’assunto che il danneggiato non avesse dato prova del nesso causale fra la condotta del medico e il danno lamentato.
Osserva la Cassazione che: ” va richiamato in questa sede l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui, sia in tema di responsabilità contrattuale sia in tema di responsabilità extracontrattuale, sussiste un duplice nesso di causalità, materiale (tra condotta ed evento dannoso) e giuridica (tra evento dannoso e danno).
In entrambe le ipotesi di responsabilità il danneggiato deve provare il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso (Cass. nn. 28991 e 28992 del 2019, entrambe pubblicate l’11-11-2019); ma la prova del nesso causale materiale tra condotta ed evento dannoso può essere fornita dal paziente, quale creditore, anche attraverso presunzioni; siffatto possibile ricorso alla prova presuntiva è in grado di attenuare la condizione di maggiore difficoltà probatoria in cui normalmente versa il creditore della prestazione professionale medica rispetto al creditore di qualunque altra prestazione la giurisprudenza di questa Corte ha sempre rilevato siffatta difficoltà, agevolando il ricorso alla prova presuntiva;
da ultimo, Cass. civ. III, n. . 29498/2019 ha affermato che, anche in relazione alla individuazione del nesso eziologico fra la condotta del medico e le conseguenze dannose subite dal paziente, “la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato” (conf. Cass. 6209/2016);
con specifico riferimento alla questione in oggetto, va ribadito che nelle obbligazioni di “facere professionale”, a differenza che nelle altre obbligazioni, la causalità materiale (e cioè il nesso tra condotta ed evento) non è assorbita dall’inadempimento; l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove malattie, così come la perdita della causa nel caso dell’avvocato, possono non dipendere dalla violazione delle leges artis, ed avere invece una diversa eziologia; è onere, quindi, del creditore (nel caso di specie, il paziente danneggiato) provare, anche attraverso presunzioni, la sussistenza del nesso causale tra inadempimento (condotta del sanitario in violazione delle regole di diligenza) ed evento dannoso (aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuova malattia, cioè lesione della salute); è quindi onere del detto creditore provare il nesso di causalità materiale, in quanto detto nesso (ove venga allegato l’evento dannoso in termini di aggravamento della patologia preesistente o di insorgenza della nuova malattia) è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio;
il creditore cioè deve allegare l’inadempimento (e cioè la negligenza del sanitario), ma deve provare sia l’evento dannoso (e le conseguenze che ne sono derivate; c.d. causalità giuridica) sia il nesso causale tra condotta del sanitario nella sua materialità (e cioè a prescindere dalla negligenza) ed evento dannoso;
una volta che il creditore (paziente) abbia soddisfatto detti oneri, è successivo onere del debitore (sanitario o struttura) provare o di avere esattamente adempiuto o che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè o di avere svolto l’attività professionale con la diligenza richiesta (tenendo presente che, ai sensi dell’art. 2236 c.c. “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”), oppure che sia intervenuta una causa esterna, imprevedibile o inevitabile (che abbia reso impossibile il rispetto delle leges artis);
di conseguenza, se resta ignota la causa dell’evento dannoso (e cioè se il creditore non riesce a provare, neanche attraverso presunzioni, che l’evento dannoso – l’aggravamento della patologia preesistente o l’insorgenza di una nuova patologia – sia in nesso causale con la condotta del sanitario), le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore medesimo, che ne aveva il relativo onere; se, invece, resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della diligenza professionale (ovvero, come detto, resta indimostrata l’imprevedibilità o l’inevitabilità di tale causa di impossibilità), le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore”
© cgs legal 2 dicembre 2020